Regaleali e lo Chardonnay di Vigna San Francesco

 

Lo Chardonnay è, in Sicilia, uno straniero. O forse no. Per quello che ci è noto, sono passati 50 anni dal suo primo insediamento avvenuto a Rapitalà a metà anni ’70, e a Regaleali nei primi anni ’80, entrambe nella parte occidentale dell’Isola. Questi sono stati i primi vigneti ad essere allevati in questo modo e il suo successo ha aperto un periodo d’oro durante il quale i vitigni internazionali venivano pagati il doppio rispetto agli altri.
Sebbene questa fase sia durata circa un ventennio, seguita da un ritorno deciso verso i vitigni della tradizione come Nero d’Avola, Perricone, Catarratto e Carricante, ancora oggi resistono alcune espressioni assolute che dimostrano il potenziale immenso della Sicilia. Dunque, non un “periodo buio”, come vorrebbero definirlo certi neofiti sprovvisti (senza colpa) di memoria, ma una indispensabile presa di coscienza talmente muscolare e travolgente che il senno di poi non è riuscito ad attenuare.
Sull’argomento recupero un mio vecchio articolo datato giugno 2010 e pubblicato sul nr. 46 di Slow Food, il periodico dedicato ai soci della sua associazione e i cui direttori editoriali erano Carlo Petrini e Roberto Burdese. Il tempo, come sempre accade nelle cose del vino, è una variabile curiosa e riserva spesso sorprese.

FP


 

Lo Straniero

Raggiungere Regaleali da Palermo non è solo il tragitto o il tempo impiegato, in fondo nemmeno tanto, o solo quel po’ di quella pazienza che occorre per digerire i tornanti, le curve e qualche buca assolutamente normale per chi si avventura in silenziosi angoli di Sicilia. In Sicilia nulla è semplice. Sbirciare dall’alto, attraverso i nuovi e pratici mezzi di internet, può introdurre a dettagli che raccontano di uno dei più brillanti simboli del vino siciliano. L’area insiste sulle campagne di Sclafani in una zona a cavallo tra le province di Palermo e Caltanissetta, alle spalle della catena montuosa delle Madonie. Una zona incastrata tra alte colline con quote oscillanti tra i 450 e i 900 metri sul livello del mare, un mare lontano in qualsiasi direzione lo si cerchi.
Il viaggio è istruttivo. Lasciando il tratto costiero da Palermo fino all’infelice stabilimento di Termini Imerese, ci si addentra nelle viscere di una Sicilia ancora scandita dai ritmi della terra. La prima differenza la fanno le stagioni. Qui l’inverno è molto lontano dal cliché di terra assolata del sud. Nell’ascendere verso Regaleali non è infrequente percorrere banchi di nuvole, basse e fredde, senza visibilità, con pioggia gelida battente. Il paesaggio diviene surreale quando, tra la nebbia, ci si accorge di filari di pale eoliche a perdita d’occhio in uno scenario tra l’arcaico e il tecnologico avveniristico, tra campi di verde frumento e vigneti disegnati con il tempo e con senso estetico.

Il patto

Alberto e Giuseppe Tasca

Il disegno parte nel 1830 con l’acquisto del feudo esteso 1.200 ettari. Dopo la riforma agraria del 1950 ne resterà un terzo. L’attività di vinificazione resta ed è il perno dell’attività della tenuta, peraltro citata in numerosi testi agrari dei primi del Novecento come esempio di innovazione.
La congiunzione tra resa qualitativa e il risultato in termini economici accade in un momento ben preciso, e cioè con la stipula durante gli anni Sessanta di un formidabile patto tra il conte Giuseppe Tasca d’Almerita e Ignazio Miceli. Quest’ultimo, costruendo il marchio e la distribuzione, ha di fatto creato l’immagine di una realtà fino a quel momento quasi sconosciuta. La Sicilia del vino, intesa in senso moderno e salvo un unico caso, era praticamente sconosciuta. L’accordo durerà fino al 2001, praticamente con la scomparsa di Miceli.
Tasca d’Almerita volta pagina e in pochi anni si propone al pubblico con un suo staff commerciale e come una nuova costellazione di numerose attività legate al mondo dell’agricoltura e, ovviamente, al vino. La tenuta di Regaleali è sempre il cuore pulsante dell’azienda con 400 ettari vitati e un altro centinaio tra seminativo, oliveti e mandorleti. A questa si aggiungono Capofaro sull’isola di Salina, con un vigneto di 6 ettari di malvasia delle Lipari, l’isola di Mozia con i suoi 9 ettari di grillo, l’Etna con due nuovi appezzamenti nelle contrade Sciaranuova e Bocca d’Orzo per altri 14 ettari, e infine la gestione della parte agricola e produttiva dell’azienda (nel ramo familiare) Sallier de La Tour per altri 75 ettari.
Inoltre, è da segnalare l’attività di studio della cucina siciliana intrapresa dalla marchesa Anna Tasca Lanza la quale, proprio a Regaleali, presso il borghetto di Case Vecchie, coordina la sua scuola di cucina. Non è tutto: tra i dettagli più importanti ce ne sono due che vale la pena di raccontare. Il primo riguarda la scuola di potatura di Marco Simonit e Pierpaolo Sirch, promossa da Tasca d’Almerita in questa parte della Sicilia e aperta a tutti, con l’obiettivo di recuperare l’antico mestiere del potatore, che offre ai giovani prospettive di qualificazione. Interventi rispettosi della pianta possono raddoppiarne l’età e ridurre considerevolmente i costi in vigna. Il secondo progetto riguarda un’interessantissima ricerca per quantificare il consumo di energie e l’impatto ambientale. La ricerca è seguita dal professor Ettore Capri dell’Università di Piacenza. Applicando un modello matematico di algoritmi di sostenibilità ambientale ogni singola azione viene documentata, convertita in numeri in una check-list e quantificata. Le variabili sono innumerevoli e si comincia dall’uso dell’acqua, del suolo in relazione al territorio, dei trattamenti, delle confezioni del prodotto vetro compreso, dei singoli comportamenti e così via. Il modello che ne deriva è unico, ritagliato su misura e ottimizzato al massimo, non replicabile in nessun’altra realtà (*).

Chardonnay di Sicilia
La tensione di questo impegno si percepisce nel racconto di Giuseppe e Alberto Tasca, figli di Lucio, e si materializza quando viene a galla l’amore per i luoghi, un amore così grande da quasi non percepire più la terra come propria. C’è un legame, un binomio, tra luogo di produzione e il prodotto che non può essere scisso e va tutelato.
E, tornando a Regaleali e ai suoi vini, non se ne può ricostruire la storia in poche righe. Quello che si può cercare di fare è richiamare l’attenzione su un vitigno e un vino che hanno radicalmente modificato la migliore produzione enologica siciliana, da metà degli anni Novanta fino a oggi, potremmo azzardare.
Citiamo lo Chardonnay, la cui sperimentazione, iniziata nei primi anni Ottanta, culminerà con la decisione di vendere sul mercato l’annata 1988 – cosa che poi in realtà non accadde Per alcuni piccoli intoppi durante la seconda fermentazione e perché ce n’era davvero un solo tonneau. Dunque la prima annata è il 1989.
Il vigneto porta il nome di un santo importante, San Francesco, come quasi ogni altro vigneto di Tasca. Con un sorriso, Alberto ci racconta che i vigneti sotto santa protezione assommano a un centinaio, forse oltre, San Francesco è esteso 5,50 ettari con esposizione sud/sud-ovest, densità di 3000 ceppi per ettaro allevati a doppio guyot. I suoli sono compatti e argillosi mentre le escursioni termiche hanno una oscillazione media annua di 15°C. La vinificazione è compiuta secondo le regole migliori della Borgogna. Dopo l’inoculo di lieviti, il mosto fermenta in botti di legno medio-piccole per dimensione e periodicamente sottoposte a bâtonnage. Sui legni ci sono state diverse prove: tonneau da 350 litri fino al 2003, poi barrique, dal 2008 di nuovo lo stesso tonneau.
Si può affermare che intorno al 1983-84, l’anno d’impianto, di chardonnay in Sicilia non ve n’era traccia. Il modello di vino elegante, fine, varietale, sintesi del territorio (quello di Borgogna), è allettante. Ma a piantarlo, tra l’altro nel cuore delle montagne dell’isola a oltre 500 metri di altitudine, ancora non ci aveva pensato nessuno. In quegli anni impazzavano modelli quantitativi basati prevalentemente su trebbiano e sangiovese per il rosso, più le qualità autoctone a bacca bianca quali inzolia e catarratto, anch’esse molto produttive. Di nero d’Avola si parlerà un po’ più in là.
A distanza di 20 vendemmie, possiamo – con la forza dell’esperienza – rendere merito al vitigno e alla tenuta. Con Giuseppe e Alberto, assistiti dall’agronomo-enologo Gaetano Maccarrone (**) e da Ivo Basile dell’ufficio commerciale, abbiamo aperto otto annate comprese tra il 1991 ed il 2008. Una buona forbice per esprimere valutazioni.

La degustazione (***)

Chardonnay Botrytis Cinerea 1991
Il colore è giallo dorato carico, luminoso, denso, qualche riflesso aranciato. Al naso sembra solo lievemente affaticato nonostante i suoi quasi vent’anni. Timido al primo approccio, si aprirà gradualmente durante tutta la degustazione, con una progressione interminabile molto affascinante. Evidente la traccia suadente e mielata della muffa nobile. Si avvertono confettura di pera, arance e cedro canditi, mela cotta. Seguono note nuovamente fresche di ciliegie, albicocca e menta. In bocca è asciutto, secco, morbido, con una nota acida viva e rinfrescante. Lunghissimo.

Chardonnay 1992
Colore giallo dorato carico con qualche riflesso aranciato. Al naso oli essenziali agli agrumi, frutta tropicale e in confettura, fiori ap-passiti, rosmarino. Qualche nota ossidativa. In bocca secco, sapido, media acidità. Tra tutti è quello che pare avere sofferto di più il tempo.

Chardonnay 1997
Giallo oro carico, denso alla vista. Il naso è ricco e intenso di frutta matura, nocciola, pera, miele di castagno, vaniglia. Probabile quota di uve botritizzate. In bocca è caldo, morbido, di buona freschezza, equilibrato. Ritorni leggermente sapidi e minerali. Degustazione in crescendo.

Chardonnay 1998
Colore giallo oro. Naso floreale con note mature di fiori di mimosa, mela golden, ananas, banana matura, crème caramel, biscotti. In bocca è secco, caldo, buon equilibrio. Persistente. L’ossidazione rilascia una nota gustativa leggermente amara. Prevale in chiusura l’aspetto asciutto e aromatico dell’agrume a fine assaggio. Finale medio-lungo.

Chardonnay 2004
Colore giallo paglierino, brillante. Buona densità. Il naso è ricco, equilibrato, gentile nella progressione. Fiori di zagara, bergamotto, mousse alla pesca, fichi, rose, crema di vaniglia e nocciola. Il legno non infastidisce pur essendo presente. In bocca è morbido, pieno, rotondo. Equilibrio di alto profilo retto da un’acidità presente ma non prevaricante. La sapidità e la mineralità sono nettamente distinguibili anche se avvolte dalla morbidezza complessiva del vino. Lunga e piacevole persistenza.

Chardonnay 2005
Colore giallo paglierino luminoso. Il naso è intenso, fragrante, fruttato con note di albicocca, melone bianco, pera e zenzero. Lievi note verdi di salvia. Fine speziatura del legno. In bocca pieno, fresco, sapido, con un corpo agile e muscoloso. Ottimo equilibrio tra le parti dure e le parti morbide che mascherano una grande energia. Molto lungo. Un’annata eccellente per i bianchi.

Chardonnay 2007
Colore giallo paglierino chiaro con rifrazioni verdi. Il naso è ampio, giovane, esuberante. Esplosione aromatica di mandarino, limone, ananas. Frutta a polpa bianca in seconda linea. Seguono la nocciola e punte di caffè del legno e del pepe in grani. In bocca è pieno, pungente per acidità, nervoso ma piacevole con ritorni leggermente amari. Prevale alla fine la rotondità con lunga persistenza. Un vino difficile da valutare perché in bruciante accelerazione.

Chardonnay 2008
Giallo paglierino con riflessi verdi. Naso elegante e lieve al primo approccio. Lampi luminosi di fiori bianchi, timo, pesca, menta piperita e camomilla. Rimandi di nocciola cruda. La bocca è morbida e stimolata dalle note acide e fragranti del vino. Giovanissimo, chiude in un finale ampio ed equilibrato.

Tasca d’Almerita
Contrada Regaleali – Sclafani Bagni (Pa)
Tel. +39 342 869 2972 (disponibile anche su Whatsapp) o al fisso +39 092 15 44 029.
https://www.tascadalmerita.it/vini/tenuta-regaleali-vigna-san-francesco-chardonnay

(*) da lì nascerà il progetto SOStain
(**) poco dopo si è aggiunta l’enologa Laura Orsi
(***) la degustazione risale a febbraio/marzo 2010

Pubblicato su Slowine nr. 46
Incontri ravvicinati del Terzo Tipo (pag. 166 e seg.)

 

di Francesco Pensovecchio